- Se partiamo dal tempo per me, ci si apre di nuovo il discorso sul lavoro, quello
sulla sessualità oppure sui corpi e sulle vite.
Pensare al tempo per me, mi fa venire in mente l’immagine in cui ho
delle corde in mano, a ogni corda è legata qualcosa della mia vita. Quando
queste corde tirano in direzioni diverse, Io mi sento meno forte. È quello il
momento in cui non riesco a gestire i tempi. Quando questa tensione diventa
insopportabile, allora è una vera tortura. Significa che una delle cose a cui è
legata la corda mi sta chiedendo la vita e io non posso dargliela, e questa
tensione mi lacera.
Quando
invece il tempo che dedico a ciascuna di queste cose, si stabilisce su una
misura che mi va bene, anche se non l’ho data io, non viene da me, allora ho la
sensazione di essere io a guidare le cose che sono legate alle corde. Le dirigo
come se stessi suonando un pianoforte.
Ma
questa armonia, quando c’è, può succedere che non dipenda solo da me: non
sempre e non per tutto. Nonostante questo, quando c’è, sento che è la misura
giusta, anche se non l’ho decisa io.
Tanto che mi resta anche la forza di dare di più, se è
richiesto.
Quando
dico che non sono io a dare una misura, intendo dire per esempio che sono gli
altri a chiedere. E questa richiesta può essere della mia misura, oppure no. A
volte è la paura degli altri che mi impone una presenza, a volte sono le
circostanze che obbligano. Altre volte, anche se le motivazioni non vengono da
me, sento che la misura è giusta.
- Il punto però non è solo che a dirigere sia io o
qualcun altro/a o qualcos'altro. Per me la questione è molto più altalenante. Quando
non sono io a dirigere, posso sentirmi appagata, sentire che la misura della
direzione che prendono le cose della mia vita mi corrisponde, e allora riesco a
volteggiare su di esse, anche se non sono io a decidere dove dirigermi o dove
dirigere queste cose, ma allo stesso modo, altre volte me ne sento soffocata.
Così come se sono io a dirigere, può capitare che azzecchi la misura, oppure
che mi senta soffocare nei miei stessi passi. Il punto secondo me è che ne va
della possibilità di prendere parola sulle pressioni esterne, o sulle buone
misure. Mi chiedo in cosa si trasformi quel non essere in grado di prendere
parola sulle pressioni esterne, quando la situazione non è pressante? Io dove
sono?
Voglio
dire, il punto secondo me non sta sulla misura, più o meno a dimensione mia,
non è lì che rintraccio qualcosa che mi dà il senso di quello che succede:
delle pressioni così come del volteggiare sulle cose. Mi viene da dire che
allora il senso sta in altro, ma non so dove esattamente.
Direi
che mi ritorna dalle relazioni.
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