venerdì 1 marzo 2013

Reddito, se e solo se.


DiversamenteOccupate: perché impossibile definire i nostri lavori simultanei, le nostre acrobazie, le nostre contrattazioni e il nostro desiderio di politica nel termine “precariato”. Si comincia allora a parlare di lavoro, di ricatto, di condizioni di vita, ma non solo; al centro del discorso c'è anche quel corpo, che il lavoro e un intero immaginario ci sottrae, quei saperi corporei di cui veniamo espropriate e quella sessualità che anziché partire da noi ci viene detta da altri luoghi. E così, attraverso questo percorso intrecciato, che tiene insieme politica, desiderio, corpo e lavoro che negli ultimi mesi le DiversamenteOccupate abbiamo incontrato la  questione del reddito di esistenza, che le interessa, le incuriosisce, le stimola, ma, soprattutto, cerca di dare risposta ad alcune delle loro urgenze politiche.
Perché il reddito? Innanzi tutto perché pone un argine a quel ricatto lavorativo ed economico a cui tutte e tutti sottostiamo, che rende tempi, salari, condizioni contrattuali non contrattabili; il reddito permette a tutti, donne e uomini, di riappropriarsi della propria forza di contrattazione così come del proprio corpo, non più a disposizione, a qualunque costo, dei ritmi e delle richieste di un lavoro calibrato  sulla logica del precariato, fatta di sostituibilità e contemporanea rapina. Questo è tanto più vero per una donna, sia per il rapporto che come donne intratteniamo con la dimensione del lavoro di cura, sia per il fatto che anche in un contesto di “femminilizzazione” del lavoro e precarietà che include anche gli uomini resta il fatto che le condizioni lavorative e sociali continuano a non essere le stesse tra un uomo e una donna.Ma ci sono delle precisazioni da fare. La proposta di un reddito garantito va nella direzione di un nuovo paradigma di cittadinanza se e solo se è concepito come universale e incondizionato, destinato a tutte e tutti, permettendo maggiore libertà di scelta, uscita dal ricatto, livellamento delle disparità economico-materiali, liberazione del tempo. Inoltre, il reddito può essere solo lo strumento “tecnico”, la riforma strumentale da cui muovere per un mossa più ampia, per costruite un percorso politico-culturale che vada verso l’invenzione di un nuovo paradigma di cittadinanza, attraverso pratiche di partecipazione, cittadinanza, autogoverno che ridefiniscano il significato della ricchezza, dove per ricchezza si intende tutto ciò che è risorsa (cultura, saperi, corpo, acqua, scuola, sanità, incluso denaro).Il discorso sul reddito, ovviamente, va tenuto insieme al lavoro. Con un'ulteriore precisazione: il denaro, se intorno a noi tutto è privato, privatizzato o privatizzabile, non basta: è il reddito indiretto, sono i servizi pubblici, che ci permettono di migliorare le condizioni di vita, anche con un reddito basso. Trasporti, sanità, scuola e università, cultura. Senza questa precisazione cadiamo nell'immagine di un reddito di cui è il liberalismo stesso che si serve.Siamo pienamente consapevoli di una cosa: la nostra libertà non passa certo dal reddito, che è solo uno strumento per uscire dai ricatti, ma anche con un diritto di base combinato con altri tipi di diritto, è uno strumento che ci permette di ripensare una nuova organizzazione sociale e simbolica. Non è dicotomico con il lavoro, ma permette un sottrarsi dalla logica produttivistica.Riprendersi il corpo, riprendersi un tempo di vita e, con esso, riprendersi il tempo e le condizioni per la politica, riappropriandosi di un fare comune; sottrarre tempo al lavoro in favore di un tempo fertile in cui ciascuna di noi si lascia la possibilità di accogliere  quel che corrisponde al suo desiderio e al senso di sé: parlare del reddito diviene allora l'occasione per costruire un discorso che parli a tutte e a tutti, non  solo ai precari, su lavoro e tempo di vita  e che apra al desiderio di politica e contemporaneamente alla coalizione tra diversi lavoratori,  disoccupati, studenti.

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